venerdì 23 febbraio 2024

Il mito della caverna

Il mito della caverna


Platone definisce il vero filosofo come colui che ama la verità (aletheia) e non insegue l’opinione (doxa). Chi ama la verità ricerca l’autentica conoscenza, la quale si può raggiungere con la contemplazione dei puri concetti. Chi insegue l’opinione incontra invece quella conoscenza fallace che deriva dalla comprensione dei soli fenomeni sensibili i quali sono evidentemente contraddittori.

Per distinguere tra verità e opinione, Platone ricorre al mito della caverna, in cui descrive in metafora l’inerzia e l’ottusità4 della mente umana rispetto al problema della verità e della vera conoscenza. 

Per bocca di Socrate, Platone immagina gli uomini prigionieri sin dalla nascita in una caverna, gambe e collo incatenati, impossibilitati a volgere lo sguardo indietro, dove arde un fuoco non percepito dai sensi. 

Tra la luce del fuoco e gli uomini incatenati vi è una strada rialzata e un muricciolo dove altri uomini, definiti da Platone “i burattinai”,  dispongono sopra il muretto oggetti che illuminati dalla luce del fuoco, imitano la realtà. 

I prigionieri (della mente inconscia) non possono conoscere una realtà diversa da quella proiettata sulle pareti della caverna: vedono solo ombre riflesse e sentono unicamente l’eco delle voci che scambiano per verità. 

Se l’uomo incatenato5 potesse volgere lo sguardo (l’epistrophè platonica) vedrebbe finalmen-te l’origine ingannevole dei riflessi di realtà e delle parvenze di verità in cui è costretto a vivere a causa dell’ignoranza del mondo.

In un primo momento il prigioniero verrebbe abbagliato dalla rivelazione, ma poi la conversione dello sguardo alla luce della verità lo libererebbe dall’illusione6, dalla persuasione e dalla cecità dell’intelletto, portandolo finalmente fuori dalla caverna, alla luce del sole.

Il cammino verso il sole, simbolo della verità che illumina tutte le cose, permette di riconoscere il potere di suggestione e fascinazione delle immagini abilmente proiettate per ingannare la percezione e mistificare le apparenze. 

Consapevole dell’esistenza dell’ombra riflessa nella mente inconscia, l’individuo inizia il percorso di liberazione dalle catene, dai filtri della percezione e dall’omologazione culturale. 

Praticando la disciplina interiore (áskesis) egli si abitua pian piano alla bellezza spirituale in grado di orientare lo sguardo verso la felicità (il Bene supremo), la pace del cuore (il Bene assoluto) e la conoscenza perfetta (il sommo Bene). 

L’ascesi verso la conoscenza richiede di cambiare modo di pensare (metánoia), di purificarsi dalle tentazioni (catarsi) e di compiere un movimento circolare di conversione (epistrophè), dall’opinione alla liberazione da ogni forma di cecità e costrizione inconscia.



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